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238 | saggi critici |
rapido movimento impresso agli spiriti. Una sola cosa avrebbe desiderato, che le scuole di lettere rimanessero a sua immagine, voleva ne fosse sbandita l’estetica e non vi si parlasse di scrittori forestieri, né contemporanei. Ma erano niente piú che desideri, contraddetti da un certo intimo senso, che gli diceva non esser possibile impedire in letteratura quello che egli accettava negli altri rami del sapere. Sentendo confusamente che l’indirizzo gli fuggiva dalle mani, non fece piú contrasto, e si dié a fare quel po’ di bene che potea ancora, si dié a pubblicare molti lavori utili all’insegnamento. La guerra letteraria mossagli da uomini tenuti in poco pregio e l’esser caduto in disgrazia della Corte gli crebbero riputazione e popolaritá. Amatissimo, rispettatissimo, era rimasto una nobile tradizione del passato, il «papá» della nuova generazione.
Quando si sparse la voce della sua morte, fu in Napoli pubblico lutto. Ebbe accompagnamento non mai visto: il fiore della cittadinanza, turba infinita di popolo, seguivano il cadavere. E quando solenni esequie si celebrarono, fu intorno al suo catafalco che si alzarono i primi «Viva Pio IX!», le prime grida del riscatto.
Il purismo era morto prima del marchese. Considerato come un grande impulso allo studio delle cose nostre e ad uno scrivere piú corretto, lo scopo era conseguito. Ma il purismo voleva molte altre cose, parte eccessive, parte irragionevoli. Quel mondo chiuso in pochi secoli e in poco spazio e segregato da tutto il resto parve troppo piccolo ad una generazione che si sentiva in Napoli come isolata ed anelava a congiungersi per civiltá con le altre parti d’Italia e con l’Europa. Quell’odio verso il forestierume era troppo debole diga contro l’invasione delle nuove dottrine, le quali quanto piú tardi entiarono in «Cina», come noi chiamavamo il regno, tanto operavano piú efficacemente. Né ad alcuno potè mai entrare in capo che non pure ogni perfezione letteraria’, ma ogni sapienza civile ed ogni progresso si trovi chiuso nel Trecento e nel Cinquecento.
Ma se il purismo era morto in Napoli, menava vita rigogliosa in altre parti d’Italia. Vi si parlava alto di una forma