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larvilarvi i significati delle particelle, l’arte di legare insieme le idee e passar d’una in altra: e gli parea quello studio il piú sicuro antidoto contro i francesismi. Secondo il marchese il francese concepisce e pensa in un altro modo che l’italiano; indi la differenza dello scrivere tra’ due popoli. Quello che in francese suona si bene, recato in italiano l’è una sconciatura, e ne esce uno scrivere tagliuzzato, a singhiozzi, senz’arte di passaggi e di chiaroscuri. Conchiudeva doversi scrivere con le parole del Trecento e con lo stile del Cinquecento. Non è che egli accettasse tutte le parole dell’«aureo secolo», e che dicesse o scrivesse «carogna» per cadavere, e «sirocchia» per sorella, come spargevano gli avversarii. Ammetteva supremo giudice l’uso toscano, specialmente de’ contadini, di favella piú schietta, e non lodava lo scrivere troppo artificiato del Boccaccio e del Guicciardini. Nella lotta che sorse comprendo che gli avversarii usassero l’arma della caricatura ed esagerassero le sue dottrine. Ma quelle teorie con quelle spiegazioni e limitazioni ci parevano irreprensibili: e a ogni modo erano per noi un mondo nuovo cosí attraente che giá alla porta della professione ripigliavamo gli studi letterarii. Fin nella pronunzia ci perseguitava il marchese; e lo sanno sopra tutti i calabresi, ai quali non dava tregua, L’e e l’o larghi o stretti era il ponte dell’asino, e ti veniva il sudor freddo quando il marchese ripigliava la tua parola e contraffaceva la tua pronunzia. Questa severitá recava ottimi frutti presso tutti i giovani giunti di fresco dalle provincie con gli orrori della loro pronunzia, con ortografía conforme, con abitudini di scrivere viziosissime e con sconce e barbare maniere di dire, che il marchese chiamava «frasi da notaro». «Dettaglio», «rimpiazzo», «rimarco» e parole simili, che vanno ogni di piú scomparendo negli scrittori anche piú negletti, erano le gemme allora dello scrivere comune, e quando qualche giovane capitava ad usarle, — Ah! — faceva il marchese, come se avesse ricevuto una pugnalata. E veniva la tempesta, una esplosione di motti, di epigrammi, di epiteti sul capo dell’attonito colpevole. Diceva essere assai meglio capitassero i giovani affatto ignoranti che guasti e male avvezzi.