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l’«armando» di giovanni prati 207

è volgare. Invano cerchi il delirio e il fremito dell’amore, l’entusiasmo nell’anima che risorge all’amore. Armando dice:

                                    — Arbella, Arbella, tu non sai eh’ io t’amo! — .

E l’amore d’Arbella è espresso in queste parole:

          .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  la piagata al core
          Dall’alta freccia.
                    

E la parola si trasforma immediatamente in suono musicale, e l’amore prende forma di pensiero e di simbolo ne’ canti dell’ape, della farfalla, della rosa, e dello spirito dell’Amore. Di modo che come qualche cosa di umano e di reale s’inizia, vanisce nel mondo del pensiero simbolico. Diresti che la vita non ha tempo di formarsi, perché l’anima n’esce immediatamente e se ne stacca, e non appena ella si annunzia, che si trasforma o in sentimento o in pensiero filosofico sotto figure allegoriche.

Cosi in questo mondo evanescente nulla vi è di plastico o di formato o di compiuto: perciò vi manca e l’illusione che incatena l’immaginazione del lettore, e l’emozione che sveglia i vari affetti dell’anima.

Il lettore innanzi a tanta onda di forme e immaginazioni bizzarre, insensate per sé stesse, e intelligibili solo per un significato appiccatovi, sta sempre in sul domandarsi : — Che ha voluto fare Prati? — . E quando l’ultima parola del lettore è un : — Che ha voluto fare il poeta? — , l’effetto estetico è fallito.

La favola può avere interesse anche come pensiero o moralitá, ma a patto che, come favola, abbia in sé stessa un valore assoluto, si che sia un fatto poetico in sé compiuto : non una spiegazione, ma una rappresentazione vera e perfetta della vita. Alla spiegazione penserá il lettore a suo agio; ma è necessario che egli riceva l’impressione immediata delle cose e degli uomini