Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
l’«armando» di giovanni prati | 203 |
Finisce con lo scherno, testimonio della malattia.
La quale giunge al suo ultimo stadio, sino all’allucinazione, scambiando persone reali con i fantasmi delle sue visioni, una giovanetta scozzese con Pachita, o un erbajuolo con don Porzio, il filosofuncolo.
Ma, giunta qui, la malattia si risolve. La preghiera di Natalina lo sanò una prima volta. Ora lo sana la preghiera di un carbonaio e della sua famiglia, i suoi beneficati. Mastragabito, il male, è vinto.
Clara anch’essa è vinta, il dualismo scompare; Arbella è sua, interamente sua; Armando intuona il primo ed ultimo canto del Risorgimento.
Piú non temer. Nel Dio Presente alla tua fede Giurerò fede anch’io. E il breve nido e l’aria Della terrena sede, Colomba solitaria, Dividerai con me. . . . . . . . . Serba per te, o Signore, La gloria e la possanza A noi consenti amore Lieto, profondo e pieno, O nell’oscura stanza, Della gran madre in seno Lasciaci riposar. |
Armando riconosce sopra di sé il Signore, e l’invoca, la prima volta l’invoca; abbandona la gloria e la possanza, l’eterno volere e non potere, interno suo avvoltoio.
Ma l’amore «lieto, profondo e pieno», è anch’esso l’infinito, anzi esso solo è l’infinito; Arbella che ama è la sua colomba in questo «breve nido» che si chiama la terra. Ma domani?
Armando non si oblia in Arbella, ma l’oltrepassa; il suo desiderio infinito non può essere appagato che in seno all’In-