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cuore. La malattia acquista carattere visibile: «i suoi occhi, nella concitazione, pigliano strani splendori, poi si annebbiano, gli cascano inerti le braccia, e resta muto... il passo interrotto, gli occhi immobili e freddi come di vetro, e i sospiri tardi e lunghi»1. Allora, come in un sogno magnetico, la sua vista si fa piú lucida, e vede; vede il passato, vede i suoi pensieri divenuti creature. « La mia mente è lucida come il cristallo dell’Olimpo. Quante immagini alate mi girano intorno! Quante melodie, vecchie e nuove, mi risonano negli orecchi della memoria! » E sono le immagini del passato e i suoi dubbi, i suoi concetti, le sue fantasmagorie, l’eterna ricordanza, Mastragabito e Clara e la Madredea, e le forme piú strane del cervello, lá, organizzate, viventi : mondo di malato! Queste forme hanno un aspetto cosí simile al vero, che riscosso confonde visione e realtá, apparenze e sostanze, con pochi lucidi intervalli ne’ quali acquista coscienza chiarissima della sua malattia. Udiamo:
                               Ah! se un altro io nascea coll’ intelletto
Parco e sereno, colle ingenue fedi,
Tra le belle armonie della Natura
E al soave baglior d’una speranza,
Che vien dal Cielo, e al Ciel, come si narra,
Torna indefessa, questo amor d’Arbella
Unico, forte, solitario, immenso
Dentro l’anima mia si leverebbe.
Come il sol nelle sfere. E a me tutt’altro
Saria parso quest’orbe e Chi lo fece,
E cui fatto egli fu. Ma poi eh’ io nacqui
Tal come io sono, vaneggiar che giova
Dietro ciò eh’ io non sono? o luminosa
Libertá del voler! Come la penna
De’ filosofi è pronta a celebrarti,
Sovra una carta, che poi stride oscura
Piú dell’ inchiostro e piú dell’aura è lieve!
                         


  1. Armando, pag. 36i.