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l’«armando» di giovanni prati i97


Ma c’ è qualcuno de’ viventi che picchia e vuole entrarvi.

Chi picchia? È Giovanni Prati.

Ed entra, e, tocco il cuore da profonda commiserazione, dice: — Voi eravate tutti illustri malati : il vostro nome è Armando. E poiché vi ho compresi, vi ho guariti. Io ho narrata la malattia e rimedii. «Ho notato una malattia morale e scrissi un libro»1— .

Orlando è divenuto don Chisciotte!

Consalvo è divenuto Armando!

Don Chisciotte, impressionata la fantasia dal mondo cavalleresco, ci vive entro, e il contrasto tra quel mondo della sua fantasia messo in maggiore evidenza dal suo contrapposto, Sancio Panza, e la vita reale in cui pur si move ed opera, si risolve in un’allegra ironia.

Il concetto è semplice, chiarissimo, popolare e di effetto irresistibile.

Armando al primo disinganno, abbandonato da Clara, si sente trafitto mortalmente il cuore, e guaste tutte le sue idee intorno all’esistenza. Cade in una perfetta atonia, la quale al contatto della vita reale si risolve a poco a poco in un fantasticare ozioso e micidiale su i misteri della vita, con tale esaltamento che il senso del reale gli sfugge, e tratta le ombre come cosa salda, e la vita come ombra. Viene il punto del risorgimento e della guarigione, ma quel punto è contemporaneo con la morte. Guarisce e muore.

Niente d’ ironico v’ è in questo concetto. È una rappresentazione diretta e seria del mondo come si presenta ad Armando. È il mondo dal punto di vista di un malato, e perciò condannato e annullato.

Superfluo è celebrare la magnificenza di questo concetto. Prati può dir con giusto orgoglio : — «È un pensier del mio capo» — .

Si apre la scena. È una tempesta. Armando ripara nell’abi-



  1. Epigrafe dell’Armando.