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i90 | saggi critici |
E se quest’epigrafe vi pare essa stessa un enigma, il poeta si prende il fastidio di aggiungere questo comento:
Per una moltiplicitá di cagioni, inerenti all’indole umana ed esistenti nel mondo esterno, parecchie nature, anche forti, a certi tempi e in mezzo a certe condizioni di societá, cascano in ozii, in tedii, in sogni, che hanno quasi il carattere di morbi: ai quali se va accoppiato o il ricordo di qualche fiero disinganno patito, o la tendenza della mente alla negazione, o l’abito della fantasia alle tetraggini, questi mali possono avere esiti dolorosi, e qualche volta orrende catastrofi.
A questi morbi dell’intelletto e dell’anima son preparati i naturali rimedii nelle varie operositá e necessitá della vita comune; ma altri e piú potenti risiedono nell’ordine della religione e in quello della scienza. Per il piú piccolo poi e il piú delicato numero di quest’infermi, i farmachi dotati di maggior virtú sono riposti nella grandezza dell’amore e nella gloria dell’arte.
Se pur ciò medesimo basti contro le maligne insidie del Caso; il qual non par del tutto straniero agli andamenti e talvolta alle conclusioni della nostra vita.
E dopo questo comento si può mai aver l’impudenza di domandare a Giovanni Prati: — Cosa hai voluto fare? — .
— Teste dure! risponderebbe; ho voluto descrivere una malattia. —
Chi è Armando? È un malato.
E cosa è questo libro? È il poema di un malato.
Eppure un concetto cosí semplice, cosí chiaro non può entrare in capo a nessuno, e tutti a domandare : — Cosa hai voluto fare, Giovanni Prati? — .
E il buon Prati a rispondere :
Ti narro un tristo sognatori ti narro Il suo tetro fastidio; e se talvolta Cosa mormora in lui che ti somigli. Non mi chieder di piú. Viemmi compagno Per l’aspra landa, e mai non dimandarmi Se sia tutta di spine, o se alcun segno |