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«fedra» di racine 7

e mi maraviglio come un critico cosí acuto non abbia veduto la differenza sostanziale che è tra le due concezioni. A suo parere. Racine ha seguito in tutto Euripide, solo raffazzonando e modificando ne’ particolari la tragedia greca per accomodarla a’ costumi francesi. Ma le modificazioni di Racine sono sostanziali, si che ne è uscita una concezione affatto diversa, forse senza accorgersene egli stesso.

La tragedia di Euripide non è la rappresentazione di questo o quel carattere, di questa o quella passione. È una vasta composizione, tutto un mondo, con grandezza epica, con movimento lirico: il significato è nel suo insieme.

È una lotta in cielo ed in terra; Venere e Diana s’incarnano, si umanizzano in Fedra ed Ippolito; in cielo, la lotta è fuori de’ legami della natura, fuori delle turbazioni terrene; in terra, è passione, colpa e morte; le potenze superiori signoreggiano la natura e rompono le sue leggi, invano repugnanti i mortali. In questo mondo mistico, in cui il libero arbitrio non ha ancora piena coscienza di sé, in cui epopea, dramma e lirica s’incontrano, si confondono, dove accanto allo strazio delle passioni trovi l’immutabile serenitá de’ celesti, e l’azione va spesso a sciogliersi ne’ lirici concenti del coro, tutto è in armonia, e la vita penetra nelle minime parti.

Questo mondo armonico è stato guasto da Seneca, che, rompendo ogni misura e gittando nell’ombra le altre parti, pone di prospetto Fedra e attira in lei l’attenzione. Nelle tragedie di Seneca comincia giá a trasparire la caduta degli Dei e la libertá dell’anima; se non che, povero di poesia e messo in un mondo che non era giá piú il mondo pagano, ma né ancora il cristiano, questa nuova situazione vi sta impacciata e contraddittoria, quasi germe o presentimento oscuro del dramma moderno. Nel suo Ippolito egli si propone di rappresentarci in tutte le sue gradazioni una passione incestuosa; ’l’orrore è la sua musa e la Corte di Nerone la sua ispirazione. L’innaturale vi è condotto fino alla sfacciatezza, e la dichiarazione di amore che la madre fa al figlio è degna de’ contemporanei di Caligola e di Messalina.