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sicché in luogo della macchinetta tricolore ti vedi improvviso dinanzi il berretto nero, e senti una vocina melliflua che ti annunzia il cambiamento di scena: — Attenti! ora sono io che parlo! — «Le vecchie masserizie del Vaticano, dice il Mazzini al Beltrami, le abbiamo tanto rôse colle lime sorde..., giá sono in tentenne, e a buona picchiata di martello deono cadere in isfascio. Poni la scure alla radice corrompendo le masse... Vi sono ancora non pochi, i quali perfidiano a creder buone a qualcosa le riforme: imbecilli! o tutto, o niente. Avvisan costoro che noi ci contendiamo si saldamente da venti anni per risciacquarci la bocca con un sorso di riforme?» Vedete lo stesso ridicolo esterno quasi con le stesse frasi: le «masserizie» prima «rôse», poi «in tentenne» e poi «in isfascio», come innanzi dai confetti si passò al burro e dal burro al vermut: anzi voi sentite di nuovo l’odore dell’antipasto, non potendo quel caro Bresciani lasciarci in pace senza una «risciacquatina» di bocca con «un sorso di riforme». E quando il Mazzini mi dice: «Poni la scure alla radice», io veggo l’uomo rosso; ma quando soggiunge: «corrompendo le masse», scusatemi, padre Bresciani, Mazzini non chiamerá mai un «corrompere» l’opera sua; e siete voi, proprio voi che cacciate il capo fuori della tela, e mi mostrate il berretto nero, e dite invece di Mazzini: «corrompendo le masse» e invece di Polissena: «Viva noi!».

Il Bresciani non è riuscito a porre in ridicolo le idee della rivoluzione: è riuscito almeno a rendere ridicoli gli uomini della rivoluzione? Oltre che gli manca ingegno da ciò, come il fin qui detto basta a mostrare, la falsa situazione nella quale si è messo, non glielo poteva consentire. Vi è un dramma francese intitolato: Avant, Pendant et Après, nella cui seconda parte si pone in caricatura la rivoluzione francese del ’ 93. Ma lo scrittore si è ben guardato di porre in iscena Robespierre, Saint-Just, Danton e gli altri capi, ed ha cansato tutto ciò che è di serio e di grande in quella funebre epopea. Con quel finissimo fiuto che è l’istinto incomunicabile dello scrittor comico, egli ha subito odorato il ridicolo ch’era in essa, 1 ’ imitazione de’ nomi, de’ costumi e delle fogge romane in una civiltá tanto diversa, ed