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i60 | saggi critici |
e la desidera felice. La scena terza dell’atto quarto in cui si celebra il sacro rito, è la crisi della tragedia. Mirra in questo lungo sforzo ha logore le sue forze; le sue parole sono vivaci e risolute; ma gli occhi brillano di un ardore febbrile; ella è piena di una esaltazione fattizia. Innanzi a’ sacerdoti, mentre il Coro invoca Venere e chiama le benedizioni celesti sugli sposi, gli spettatori guardano con terrore il sembiante trasformato di Mirra e convulso: la natura, quanto piú repressa, con tanto piú impeto prorompe al di fuori. Si precipita verso la catastrofe. La fanciulla non ode piú, non vede piú; Venere la possiede tutta.
Chi al sen mi stringe? ove son io? che dissi? Son io giá sposa? Oimè!... |
Stupefatti noi la veggiamo respingere la madre, fuggire dalle sue braccia, guardarla con occhi infocati; poi pentirsi e chiederle perdono; poi imprecare, maledirla, riempier d’orrore i circostanti, e poi di nuovo:
Deh! perdonami, deh!... non io favello: Una incognita forza in me favella. |
Il mistero s’intravvede, funerei lampi spesseggiano a chiarirci la vista, eppur noi temiamo la luce giá tanto desiderata e chiudiamo volontariamente gli occhi per non vedere, per non credere quello che giá si dipinge nell’ansietá di tutti i volti. Padre e figlia stannosi dirimpetto, soli. Il padre alterna sdegni e carezze. Stringe fra le braccia la figlia trepida, che fugge e ritorna e fugge ancora, ebbra, insana: miserabile lotta del corpo infiammato e dell’anima inorridita
. . . . . . Ornai per sempre Perduto hai tu l’amor del padre, |
esclama Ciniro corrucciato
. . . . . . Da te morire io lungi?.. Oh madre mia felice!... almen concesso A lei sará... di morire., al tuo fianco. |