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«satana e le grazie» di g. prati 99

Vi si sente la fragranza de’ campi, e vi è un ritorno in noi stessi, che per la sua rapiditá t’empie d’una malinconia senza strazio.

Prati non ha detto ancora la sua ultima parola; e, quantunque ci abbia donato giá molte poesie, egli è un poeta ancor giovane, che si va assaggiando in questo o quel genere senza un centro stabile, intorno a cui muoversi. Questa volta ha voluto presentare l’Italia d’un nuovo genere, e lo ha fatto alla spensierata, e non ha capito che questo nuovo genere è tutta una rivoluzione in poesia. È un ritorno alle forme, di cui lamenta la morte il Leopardi con tanto affetto. — Queste forme sono elle morte per sempre? Ritorneranno? Sono ritornate? E se le son morte, potrá il poeta dar loro altra vita che fattizia ed artificiale? — Lasciamo star questo. Certo è che a questa impresa era acconcissimo l’ingegno di Prati, in cui l’immaginazione nuoce all’affetto e soverchia tutte le facoltá. Ma egli vi si è messo con preoccupazioni critiche, ed oltre alla prefazione esse appariscono ancora nella poesia, chiamando l’autore Satana «re del Male» e gli Dei scaduti forme «di comica natura», quasi temesse che a’ lettori rimanesse oscuro il suo concetto: è il poeta che fa da critico e da cementatore a sé stesso. Con in capo reale e fantastico e narrazione e azione, con astratti concetti male esaminati e confusi, non è maraviglia che gli sia fallita l’ispirazione e sia riuscito in personificazioni ed allegorie. Dico questo forse un po’ severamente; ma se con i giovani tironi si dee usare cautele oratorie, con Prati si può e si dee essere severo. Egli ha nemici e amici, nocevoli non so quali piú: io mi onoro della sua amicizia, e me ne sento degno, perché ho il coraggio di dirgli la veritá; desidero sinceramente che egli giunga a quell’altezza che può comportare il suo ingegno. Che se egli è di piccolo animo, sentirá probabilmente la tentazione di porre me settimo tra’ suoi «topolini»; ma s’egli è artista, ed ama l’arte come l’amo io, mi comprenderá e mi stimerá.

[Nel «Cimento», vol. V, pp. 685-708, aprile i855.]