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retto e negativo, principalmente dall’effetto che produce la sua vista sull’animo del suo amato e sugli obbietti circostanti.

                                         Quivi la Donna mia vid’io si lieta,
Come nel lume di quel ciel si mise.
Che piú lucente se ne fe’ il pianeta.
     E se la stella si cambiò e rise.
Qual mi fec’io, che pur di mia natura
Trasmutabile son per tutte guise!
     Come in peschiera ch’è tranquilla e pura
Traggono i pesci a ciò che vien di fuori,
Per modo che lo stimin lor pastura;
     Si vid’io ben piú di mille splendori
Trarsi vêr noi; e in ciascun s’udia:
Ecco chi crescerá li nostri amori.
     

Quanto piú si sale, piú la sua bellezza si accende, e piú viva letizia le ride nel volto. Ella è il faro, in cui mirando il poeta si avanza a salute: il quale, secondo che monta piú su, acquista maggiore intelletto d’amore; sicché ei può sostenere e contemplare il novo riso di Beatrice e la nova bellezza del paradiso.

                                         E come, per sentir piú dilettanza
Bene operando, l’uom di giorno in giorno
S’accorge che la sua virtute avanza;
     Sí m’accors’io che il mio girare intorno
Col cielo insieme avea cresciuto l’arco,
Veggendo quel miraeoi piú adorno.

     Ché la bellezza mia, che per le scale
Dell’eterno palazzo pili s’accende,
(Com’hai veduto) quanto piú si sale.
     Se non si temperasse, tanto splende.
Che T tuo mortai potere al suo fulgore
Sarebbe fronda che tuono scoscende.

     Tu hai vedute cose, che possente
Se’ fatto a sostener lo riso mio.