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esposizione critica della divina commedia 405


                                         Per sua bontate il suo raggiare aduna,
Quasi specchiato, in nove sussistenze,
Eternalmente rimanendosi una.
     Quindi discende all’ultime potenze
Giú d’atto in atto, tanto divenendo,
Che piú non fa che brevi contingenze:
     E queste contingenze essere intendo
Le cose generate, che produce.
Con seme e senza seme, il ciel movendo.
     La cera di costoro, e chi la duce.
Non sta d’un modo; e però sotto ’l segno
Ideale poi piú e men traluce:
     Ond’egli avvien ch’un medesimo legno.
Secondo spezie, meglio e peggio frutta;
E voi nascete con diverso ingegno.
     Se fosse appunto la cera dedutta,
E fosse il cielo in sua virtú suprema,
La luce del suggel parrebbe tutta:
     Ma la natura la dá sempre scema,
Similemente operando all’artista,
C’ha l’abito dell’arte e man che trema.
     

Il poeta procede per deduzione, guardando le cose dall’alto del paradiso, cioè dall’assoluto e dal necessario, da cui dechina via via infino alle estreme conseguenze, forma contemplativa e dommatica, anziché discorsiva e dimostrativa. Il qual metodo si affá piú alla poesia, presentando all’immaginazione vasti orizzonti in una sola comprensione, e generando nello spettatore quella impressione di maraviglia e di raccoglimento che nasce dal sublime.


                                         Guardando nel suo Figlio con l’amore,
Che l’uno e l’altro eternalmente spira,
Lo primo ed ineffabile Valore,
     Quanto per mente o per occhio si gira
Con tanto ordine fe’, ch’esser non puote
Senza gustar di lui chi ciò rimira.
     

Ma le larghe proporzioni che il poeta ha date a questa parte, ed il modo didattico di trattarla non gli consentono ch’ei signo-