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esposizione critica della divina commedia | 393 |
Al Padre, al Figlio, allo Spirito santo Cominciò gloria tutto ’l Paradiso, Si che m’inebriava il dolce canto. Ciò ch’io vedeva mi sembrava un riso fieli’ universo per che mia ebbrezza Entrava per l’udire e per lo viso. O gioia! o ineffabile allegrezza! O vita intera d’amore e di pace! O senza brama sicura ricchezza! |
In. questa disuguaglianza del concetto e della forma l’immagine è disgiunta da quello, né può essere propriamente altro che una comparazione; onde s’intende perché qui sia tanta copia di paragoni, le gemme piú elette e piú preziose della terza cantica. L’occhio acuto del poeta coglie la natura nelle sue apparenze piú lievi, piú fuggevoli, piú delicate, le quali egli fa sue, togliendole al circolo loro assegnato in terra e traendole seco, nel suo volo, ad informare le sue concezioni. La natura non vi è come sostanziale, ma come simbolo ed apparenza: onde il profondo senso del paragone dantesco, che non è ornamento soprapposto ed estrinseco, ma il terrestre di rincontro al celeste, la realtá non come manifestazione, ma come ombra della veritá, «ombrifero prefazio del vero.»
Quali per vetri trasparenti e tersi, O ver per acque nitide e tranquille, Non si profonde che i fondi sien persi, Tornan de’ nostri visi le postille Debili si, che perla in bianca fronte Non vien men forte alle nostre pupille; Tali vid’io piú facce a parlar pronte. Cosí parlommi; e poi cominciò; Ave, Maria, cantando; e cantando vanio Come per acqua cupa cosa, grave. .E quelle anime liete Si fèro spere sopra fissi poli, Fiammando forte a guisa di comete. |