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392 | appendice |
Ciascun di quei candori in su si stese Con la sua cima, si che l’alto affetto, Ch’egli aveano a Maria, mi fu palese. Indi rimaser li nel mio cospetto, Regina coeli cantando si dolce. Che mai da me non si parti il diletto. |
Ancora Cristo, che nel purgatorio è rappresentato sotto la forma del grifone, qui è collocato nel suo trono invisibile, illuminante e non illuminato, coperto dalla stessa luce che spande intorno.
Come a raggio di Sol, che puro mei Per fratta nube, giá prato di fiori Vider, coperti d’ombra, gli occhi miei; Vid’io cosí piú turbe di splendori Fulgurati di su da raggi ardenti, Sanza veder principio di fulgori. |
Con lo stesso intendimento l’autore aiuta la fantasia a montar su verso l’infinito, mostrando la potente impressione ch’ei ne riceve. Come la melodia musicale, che si sente nell’anima senza che la si possa intendere né figurare; cosí l’infinito si manifesta meglio nel suo effetto che nell’immagine: e, quando l’immaginazione è cosí desta, l’uomo apprende confusamente la stessa immagine, per quella reciprocanza che è tra l’anima e la natura, le quali si riflettono e si rispondono come un’eco armoniosa. Si è detto che dal cuore vengono i grandi pensieri; ma altresí le grandi immagini: il cuore commosso è il migliore interpetre della natura, siccome la contemplazione della natura è la maestra del cuore: la fantasia, l’intendimento e l’affetto non sono che diversi suoni della musica interiore.
. . . raggiandomi d’un riso Tal, che nel fuoco faria l’uom felice. Ché dentro agli occhi suoi ardeva un riso Tal, ch’io pensai co’ miei toccar lo fondo Della mia grazia e del mio paradiso. |