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esposizione critica della divina commedia | 385 |
mente alla sua coscienza, con quel mescolamento di realtá e d’immaginazione, che suole aver luogo in questi casi.
Nell’ora, che comincia i tristi lai La rondinella presso alla mattina, Forse a memoria de’ suoi primi guai; E che la mente nostra, pellegrina Piú dalla carne, e men da’ pensier presa, Alle sue visi’on quasi è divina; In sogno mi parea veder sospesa Un’aquila nel ciel con penne d’oro. Con l’ale aperte, ed a calare intesa: Ed esser mi parea lá, dove fóro Abbandonati i suoi da Ganimede, Quando fu ratto al sommo concistoro. Fra me pensava: Forse questa fiede Pur qui per uso; e forse d’altro loco Disdegna di portarne suso in piede. Poi mi parea che, piú rotata un poco, Terribil come folgor discendesse E me rapisse suso infino al foco. Ivi pareva ch’ella ed io ardesse: E si l’incendio immaginato cosse, Che convenne che ’l sonno si rompesse. |
Ce ne ha di molto belli; e bellissimo per concetto e per virtú creativa è l’ultimo sogno, nel quale gli appare Lia, simbolo della vita attiva, tutta intesa a farsi bella con l’opera, mentre la sorella Rachele, figura della vita meditativa, è ratta in contemplazione.
Sí ruminando e si mirando in quelle. Mi prese ’l sonno; il sonno che sovente, Anzi che ’l fatto sia, sa le novelle. Nell’ora, credo, che dall’orïente Prima raggiò nel monte Citerea, Che di fuoco d’amor par sempre ardente, Giovane e bella in sogno mi parea Donna vedere andar per una landa, Cogliendo fiori; e cantando dicea: |