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384 | appendice |
tra le ombre sedute, quete e cantanti Salve, Regina, e la vista
allegra del seno erboso e fiorito, in mezzo al quale riposano.
Tra erto e piano era un sentiero sghembo, Che ne condusse in fianco della lacca Lá, dove piú ch’a mezzo muore il lembo. Oro ed argento fino e cocco e biacca, Indico legno lucido e sereno, Fresco smeraldo allora che si fiacca. Dall’erba e dalli fior, dentro a quel seno Posti, ciascun saria di color vinto. Come dal suo maggiore è vinto il meno. Non aveva pur natura ivi dipinto. Ma di soavitá di mille odori, Vi faceva un incognito indistinto. Salve, Regina, in sul verde e in su’ fiori Quivi seder, cantando, anime vidi, Che per la valle non parean di fuori. |
Le anime, piangendo, cantano; e la montagna alpestre è lieta di apriche valli e di campi odorati: il quale contrasto ha il suo termine, quando l’anima si leva con libera volontá a miglior soglia; monda del tristo passato, con pura letizia. Nell’inferno si scende, nel purgatorio si sale; e come ivi l’ultimo abisso è segno della compiuta malvagitá, cosí la cima del purgatorio è immagine terrena del paradiso. La descrizione del paradiso terrestre ci ricorda i giardini incantati di Alcina e di Armida, delizia e lascivia dell’immaginazione; se non che è qui una severitá di forma, che risponde alla serietá del concetto. Tutto è qui, che alletti lo sguardo e lusinghi la fantasia: riso di cielo, canto di uccelli, vaghezza di fiori, e tremolare di fronde e mormorare di acque, tutto descritto con soavitá e melodia, ma insieme con tale austera temperanza, che non dá luogo a mollezza ed ebbrezza di sensi; né il diletto che noi proviamo turba il riposo dell’animo. Il poeta passa dormente da uno stato in un altro, cioè senza opera sua, per virtú della grazia divina. I suoi sogni sono rappresentazioni dello stesso passaggio, che si offre confusa-