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esposizione critica della divina commedia 383


                                    Lo bel pianeta, che ad amar conforta,
Faceva tutto rider l’oriente
Velando i Pesci, ch’erano in sua scorta.
     Io mi volsi a man destra, e posi mente
All’altro polo, e vidi quattro stelle
Non viste mai, fuor ch’alia prima gente.
     

E dall’ombra che rende il suo corpo mortale trae facile opportunitá al dialogo, cagione di maraviglia e di curiositá a’ nudi spiriti, la quale egli descrive in guise sempre nuove e sempre belle, con vena inesausta di fantasia.

                                    Come le pecorelle escon del chiuso
Ad una, a due, a tre, e l’altre stanno
Timidette atterrando l’occhio e ’l muso;
     E ciò che fa la prima, e l’altre fanno.
Addossandosi a lei, s’ella s’arresta,
Semplici e quete, e lo perché non sanno;
     Si vid’io muovere, a venir, la testa
Di quella mandra fortunata allotta,
Pudica in faccia e nell’andare onesta.
     Come color dinanzi vider rotta
La luce in terra dal mio destro canto,
Si che l’ombr’era da me alla grotta,
     Ristarò, e trasser sé indietro alquanto;
E tutti gli altri, che venieno appresso.
Non sapendo ’l perché, fero altrettanto.

     Quando s’accorser ch’io non dava loco
Per lo mio corpo al trapassar de’ raggi,
Mutâr lor canto in un O lungo e roco.
     

Parimente il purgatorio, quantunque soggiorno di penitenza, pure come via a beatitudine, è sparso qua e colá di luoghi amenissimi, mostrandosi la natura in quella stessa opposizione che sono i personaggi. La natura è l’accordo musicale e la voce esteriore di quel di dentro: amorosa consonanza dello spirito e del corpo, in che è posta l’ultima ragione dell’arte. Cosi, per passarmi di altri esempi, nel canto settimo è maravigliosa armonia