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obbiettivitá, perché essa vi ha un valore assoluto, essendo dinanzi all’occhio dell’impenitente il sommo bene. Nel purgatorio il concetto è mutato: la passione non è piú un sostanziale, ma un momento; è il corpo sparente dinanzi alla veritá dello spirito: vanitas vanitatum. Ella perciò non accende piú il senso, ma è presente solo alla immaginativa, come un salutare ricordo dell’abisso, nel quale l’anima era caduta. Il che spiega la nuova forma che le ha dato l’autore, rappresentandola in esempli storici, che si offrono alla fantasia del poeta e delle anime purganti.

                                    Dell’empiezza di lei, che mutò forma
Nell’uccel che a cantar piú si diletta,
Nell’immagine mia apparve l’orma.

     Noi ripetiam Pigmalïone allotta,
Cui traditore e ladro e patricida
Fece la voglia sua dell’oro ghiotta,
     E la miseria dell’avaro Mida,
Che segui alla sua dimanda ingorda,
Per la qual sempre convien che si rida.
     

Ma questa forma non è di una sufficiente obbiettivitá; onde il poeta per aggiungere quella evidenza sensibile, che può patire il subbietto, dá a’ fantasmi dell’immaginazione figura esteriore, rappresentando intagliati nelle pareti e sul pavimento alcuni fatti delle umane vicissitudini, nel punto in cui apparisce il nulla delle terrene grandezze, dopo la catastrofe. È il sublime cristiano, tanto eloquente in Bossuet; il quale nasce dall’improvviso contrasto tra la grandezza passata che si presenta alla fantasia e lo stato presente che si offre dinanzi agli occhi: Seges est, ubi Troja fuit.

                                    Vedeva Troia in cenere e in caverne.
O Ilïon, come te basso e vile
Mostrava ’l segno, che lí si discerne!
     

Quanto a’ personaggi, usciti al tutto di ogni illusione, non ricordano le cose terrene che per giudicarle sia in sé, sia in altrui.