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esposizione critica della divina commedia 367


perati con grande veritá. Le parole di Pietro delle Vigne contengono in sé il disegno di tutta intera una tragedia. L’alto concetto ch’egli ha del suo glorioso uffizio, la gelosa cura con che ne rimove ogni altro, la fede e la riverenza verso il suo Signore, lo sdegno contro i suoi detrattori e il pensiero che si dá della sua memoria giacente sotto i colpi della invidia ci fanno misurare di un guardo la profonditá di quel dolore, che lo condusse a morte. Quel canto è de’ piú belli: è una mesta armonia di diversi elementi, ciascuno de’ quali risponde ad una fibra del nostro cuore.

Nel canto quinto il poeta aggiunge una morbidezza di stile e di favella, che ci fa giá presentire il Petrarca. La nostra lingua è nata con l’amore, il quale ha in lei svolto l’elemento musicale onde va innanzi a tutti gli idiomi moderni; e giá ne’ primi lirici, sopratutto in Cino da Pistoia, essa ha infiorato di quella grazia e leggiadria che fu seme e della sua perfezione e del suo scadimento. Cino ritrae l’amore piú con pensieri delicati che con vivacitá di affetto; e sembra che la bella Selvaggia abbia avuto potere di svegliare ed ornare il suo spirito senza turbare il suo cuore.

In Francesca apparisce l’amore nella sua veritá drammatica, passione sensuale, prorompente, ma nobile e gentile e nello stesso fervore del desiderio casta e pudica. La narrazione si compie con un ultimo tratto di pennello, di una grande veritá e delicatezza, che fa intendere di lá da quello che esprime, rappresentando il pensiero obliquamente e ricoprendo l’immagine col velo del pudore. Il punto scelto dal poeta e apparecchiato con particolari pietosi è quando la passione, lungamente compressa, scoppia; il quarto atto della tragedia, che ci fa intravvedere una segreta storia di affanno e di desio nel passato, è l’imminente catastrofe.

Il mesto accompagnamento di Paolo, il fremito amoroso che invade ancora quelle nude ombre, la profonda pietá del poeta, l’indole tenera ed affettuosa di Francesca, la squisita delicatezza del sentimento e la melodiosa soavitá che spira dalle parole, dai versi, dalle immagini ci fanno in quel punto dimenticare l’inferno o, per dir meglio, ci rendono l’inferno cosa bella e gentile.