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i due mondi della divina commedia 329


L’inferno è il regno della materia irrazionale, del male e dell’errore, del brutto, dell’anarchia eslege, anarchico, mostruoso ed informe, la forma manchevole e difettosa, entomata in difetto, un verme in cui sua «formazion falla»; manca l’elemento razionale che lo fa bello. Non vi è piú né il bello naturale: sono scomparsi questi nostri campi, prati e valli, il cielo azzurro, i fiori de’ margini gai e gentili. Non vi sono che abissi sprofondati, angusti quanto piú si discende nel fondo, rupi aride, infeconde, scoscese, tristi valli. Nessuno orizzonte, fitte tenebre interrotte da suono cupo ed acuto; nessuna immagine che ricrei i sensi; ma si incontrano materie che fanno zuffa cogli occhi e col naso. Il demonio è il tipo del laido ed osceno: Caronte con occhi di bragia, Cerbero trifauce, Minosse il gran giudice con la coda, Gerione colla forma mostruosa e con la coda aguzza; Lucifero, il tipo del gigantesco sotto forme organiche. L’uomo, in attitudini violente, contorte, dispettose e strane. Dissonanze, guai, vizii, depravazione perfetta, defitti e colpe e misfatti che vanno sempre aggravandosi. Eppure l’inferno è bello, anzi piú bello; noi non sappiamo distaccarci da lui. Come ha saputo Dante accettando la situazione cavare dal brutto il bello, la poesia dalla prosa piú vile?1



  1. La scrittura è difficile a leggersi, si che non siamo sicuri di aver sempre bene interpretato; e l’interpunzione cosí strana o manchevole che abbiamo dovuto spesso sostituirla o aggiungerla. Lo stesso, quanto all’interpunzione, deve ripetersi per la lezione che segue.