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il paradiso | 299 |
Né meno belli sono gli ultimi suoi momenti:
Quando a colui che a tanto ben sortillo Piacque di trarlo suso alla mercede, Che ei meritò nel suo farsi pusillo, A’ frati suoi, siccome a giuste erede, Raccomandò la sua donna più cara, E comandò che l’amassero a fede. |
Certo in questa vita vi è qualche cosa di poetico, ed è il sublime disprezzo del santo per le cose terrene, quel suo combattere contro il proprio corpo, che egli chiamava il suo asino, come a nemico. Ma questo concetto perde di efficacia nella forma allegorica che gli ha dato il poeta. Né meno fredda è la parte satirica, espressa per via di una metafora continuata troppo lungamente.
Ma il suo peculio di nuova vivanda E fatto ghiotto si ecc. |
Succede l’elogio di S. Domenico, «l’amoroso drudo | della fede cristiana, il santo atleta | benigno a’ suoi ed a’ nemici crudo». La grandezza del concetto si rivela in questi belli versi:
Con l’uffizio apostolico si mosse Quasi torrente che alta vena preme E negli sterpi eretici percosse L’impeto suo piú vivamente quivi Dove le resistenze eran piú grosse. |
Ma il resto si perde in particolari di poco interesse, come il sogno della madre e della comare, e le allusioni che fa al nome del santo e del padre Felice e della madre Giovanna. Appena qualche breve tratto satirico gitta un po’ di vita in tanta languidezza di racconto:
Non dispensare o due o tre per sei, Non la fortuna di primo vacante, Non decimas quae sunt pauperum Dei. |