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20 | primo corso tenuto a torino: lez. iii |
Ciò mi tormenta più che questo letto. |
In seno del passato ritorna il presente, come termine di paragone, e qual paragone! niente è pari alla grandezza di Farinata, a cui il poeta, senza sforzo, per virtú naturale della situazione, può mettere sotto i piedi l’inferno:
Ed ei s’ergea col petto e con la fronte. Come avesse l’inferno in gran dispitto. |
Ed anche Francesca è immemore, e la sua mente rapita nell’immagine del passato spazia con ebbrezza nel diletto giardino, quando, giungendo al bacio, le lampeggia attraverso l’inferno, e quel bacio si fa immobile e si prolunga nella eternitá. Quanto strazio in quell’incidente che par li gettato quasi per caso!
Questi, che mai da me non fia diviso. |
I due mondi s’incontrano nel momento della colpa, e si fondono l’uno nell’altro. Sogliono i poeti, quando ci vogliono rappresentare la bellezza e la forza in terra, tórre ad imprestito colori dalle cose celesti, dove ripongono la sede di ogni perfezione ideale: nella Divina Commedia la metafora è realtá, la figura è lettera; l’un mondo è il paragone, l’immagine, il lume dell’altro.
Onde dunque nasce questa vita interna, questa possente unitá diffusa in tanto ampia materia? Quale è il centro, da cui emanano i raggi? Forse un’azione particolare? Forse un protagonista? È unitá subbiettiva l’altro mondo mescolato col terreno, perché cantato da uomo terreno? È unitá meccanica, congiunzione anziché compenetrazione, unione anziché unitá, l’unitá dell’orologio anziché l’unitá degli esseri viventi? La vera unitá non è posta né in un protagonista né in una azione, che non la costituiscono, ma la suppongono e ne sono l’espressione, l’estrinseco; la vera unitá non è posta neppure in un fine che