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i46 primo corso tenuto a torino: lez xx


                                    Per piú fiate [gli occhi ci sospinse
Quella lettura, e scolorocci il viso.]
     

«Per piú fiate»: la lotta si ripete, è un resistere, e poi un obbliarsi, e poi un resistere ancora.

                                    Ma solo un punto fu quel che ci vinse.      

E non è vero; è una naturale illusione piena di veritá nella quale cade Francesca; non è un punto solo che li vinse: essi furono vinti a poco a poco; ed il giovine cade quando innanzi alla infiammata fantasia si presenta l’obbietto desiato, «argomento di sogno e di sospiro», non la bocca, no, e neppure la bocca ridente, come spiegano, ma il «riso», che è l’espressione, la poesia, il sentimento della bocca, qualche cosa d’incorporale che si vede errar fra le labbra e come staccato da esse, e che tu puoi vedere, ma non puoi toccare.

Rispettiamo, signori, quel velo che il poeta ha creduto di dover qui calare, e fermiamoci piuttosto sopra un’ultima pennellata potente la quale riassume tutta intera la situazione.

Francesca nel suo racconto si ricorda per poco del suo tempo felice e la sua fantasia rimane in quel giardino; ma quando giunge al punto che è vinta, la misera si riscuote e tra «questi» e «la bocca mi baciò», tra l’amante e il peccato le lampeggia di mezzo l’inferno, ed il tempo felice si congiunge con la miseria ed un momento d’obblio si continua nell’eternitá. Che cosa è questo? È gioia, è dolore? È gioia ed è tormento, è amore ed è peccato, è l’inferno ed è terra, è l’amarezza dell’amore che ha per dote l’inferno, è la voluttá dell’inferno che ha per soggiorno l’amore; è un sentimento complesso che non ha parola. E notatelo: in poesia non vi sono sentimenti semplici: ciascun sentimento se ne trae appresso mille altri: il cuore umano è un caos misterioso, nel quale l’amore siede accanto all’odio, ed accanto alla bontá la ferocia; e Medea può un momento prima, innamorata di Giasone, parerci un angelo d’amore, ed un momento appresso può scannare i suoi figli.