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francesca da rimini i45


politiche, ecc.; ed allora gli amanti hanno coscienza che la ragione è dal canto loro, e combattono contro ostacoli che son posti fuori di loro, e la tragedia si riduce a cozzo di contrarie passioni. Ma vi è un ostacolo insuperabile, il piú alto pathos della tragedia, il peccato; perché questo non è posto fuori, ma nell’anima stessa degli amanti. La passione è un infinito: ma il peccato è un altro infinito; ed amendue coesistono nella coscienza senza potersi distruggere l’un l’altro: distruggetemi il sentimento della colpa ed avrete una Cleopatra o una Semiramide, non una Francesca da Rimini. In lei è lotta senza termine, né può dire: — Io amo — senza che una voce non le risponda: — È peccato — ; né può questa voce parlarle, senza che nel costante pensiero non le si allacci la male allontanata immagine. E che cosa avviene allora? Innanzi agli altri si studiano le parole e gli sguardi; si vorrebbe celare non che ad altri a se stesso l’arcano del cuore; ma nel silenzio della stanza, nel segreto dell’anima si accarezza quella immagine, e si beve il dolce di que’ pensieri, e si nutrono que’ desiderii, insino a che non giunga il momento dell’obblio:

                                    Quanti dolci pensier, [quanto disio
Menò costoro al doloroso passo!]
     

È tutta la storia del peccato che il poeta ci fa intravedere. E nel racconto di Francesca qual valore ha mai quella storia se ne togli il peccato?

                                    Soli eravamo e senza alcun sospetto.      

Chi mai fa questa osservazione se non l’amore colpevole? E non osano di guardarsi e temono che i loro sguardi tradiscano quello che l’uno sa dell’altro e l’uno nasconde all’altro; e quando in alcuni punti della lettura veggono un’allusione al loro stato, uno stesso pensiero fa violenza, sforza, sospinge i loro sguardi, e gli occhi immemori s’incontrano, e non osano di sostenerli e li riabbassano, e la coscienza di essersi traditi si rivela nel volto che si scolora:

     i0
De Sanctis, Dante.