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i gruppi i23


da pochissimi, non sono ancor satisfatti, e la loro rabbia ingegnosa va cercando alcun pensiero raffinato, alcuna forma insolita di bestemmia; ed al poeta nel calore dell’ispirazione esce di penna una forma di dire inconsueta, squisita di raffinatezza e di ferocia che porta all’ultimo segno il terrore e l’orrore: «il seme di lor semenza [e di lor nascimenti]».

In questa bestemmia ci ha un doppio elemento; la parola come significato e la parola come suono. Nel significato è qui posto il sublime; e ben si guarda il poeta di distrarre l’impressione col porci dinanzi il tono e l’accento di quelli che bestemmiano. Volete ora vedere il sublime del grido? Volete vedere la poesia risolversi in semplici note musicali? Dante è qui in mezzo alla moltitudine; accompagniamolo quando egli mette il piede tra le secrete cose, tanto ancora lontano, che gli giunga non il significato ma il suono della bestemmia: suoni di dolore e suoni di sdegno; alcuni esclamazioni, altri parole distinte; alcuni rimbombano alto congiunti con altri flebili e sommessi:

                                         Diverse voci, orribili [favelle,
Parole di dolore, accenti d’ira,
Voci alte e fioche, e suon di man con elle.]
               

Ma non vogliate arrestarvi qui; non vogliate fare come alcuni comentatori che si stillano il cervello a mostrarci la minuta differenza tra voce e favella, tra parola ed accento, e non si avveggono che cosí distruggono l’essenziale della impressione posta non nel differente ma nell’unico; e che essi introducono il determinato ed il distinto, dove Dante ha voluto rappresentare un tumulto, un caos di suoni, una disarmonica armonia congiunta con l’eterno ed il tenebroso della natura, che cinge la testa d’orrore. Volete ora vedere congiunto insieme il sublime del grido e del significato?

                                         Quando giungon davanti alla ruina,
[Quivi le strida, il compianto, il lamento,
Bestemmian quivi la virtú divina.]