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i08 primo corso tenuto a torino: lez xvi


                                         La bufera infernal, che mai non resta.
Mena gli spirti con la sua rapina;
Voltando e percotendo gli molesta.

     Quando giungon davanti alla ruina.
Quivi le strida, il compianto e ’l lamento;
Bestemmian quivi la virtú divina.
               

La natura fin qui è tragica, severa, e a quando a quando sublime.

Entriamo nel regno de’ violenti. Qual mutamento di pena! Non piú il tenebroso, ma un chiaror cupo, fosco, rossigno, color di sangue e di fiamme; non piú l’illimitato, ma gli obbietti naturali in tutta l’integritá e determinazione, una cittá, una campagna, un lago, e giú in mezzo al lago una selva, e giú in mezzo alla selva un deserto. Non piú il violento, ma uomini giacenti parte rinchiusi in sepolcri, parte incarcerati negli alberi, parte distesi sotto una pioggia di fuoco, non violenta, ma d’un cader lento. Quale è il carattere estetico di questa natura? La grandezza indeterminata è sublime. La grandezza chiusa in regole di simmetria, di proporzioni e d’unitá è bella. La natura è qui la negazione del bello: la bellezza è sbandita dall’inferno. Vi è la natura terrestre; ma invano domandi qui particolari, che ce la rendono bella in terra; ci sono sepolcri, ma non ornati di fiori, non confortati di lagrime; e ci è un lago; ma cerchi invano le tranquille acque entro cui si riflettono gli alberi capovolti; c’è una selva, ma non trovi il suo verde né il rigoglio della sua vegetazione. E quando il poeta ci richiama alla memoria queste bellezze, non possiamo difenderci da un senso di malinconia e di tristezza. Quando la campagna è smaltata di verde, noi diciamo che la campagna ride; e quando le frondi cadono e la natura si spoglia de’ suoi vivaci colori, la natura si attrista e noi ci attristiamo con lei. E cosí niente è più triste che la selva de’ suicidi, senza il suo verde, i suoi rami e i suoi frutti:

                                         Non frondi verdi, ma di color fosco;
Non rami schietti, ma nodosi e involti;
Non pomi v’eran, ma stecchi con tosco.