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l’unitá della divina commedia 5


paurose delle pene infernali, di cui si aiutano i predicatori per fare impressione sulle rozze fantasie degli uditori. In questo lavoro progressivo dell’immaginazione sull’inferno sorgono a gara le piú strane invenzioni: è il romanzesco, le Mille e una notte dell’altro mondo.

I tre monaci che si mettono in via per iscoprire il paradiso terrestre, dopo quaranta giorni di cammino, attraversano l’inferno:

E veggono un lago grandissimo pieno di serpenti che tutti pareano che gittassero fuoco, e odono voci uscire di quel lago e stridere, come di mirabili popoli che piagnessero e urlassero. E pervenuti che sono fra due monti altissimi, appare loro un uomo di statura in lunghezza bene di cento cubiti incatenato con quattro catene, e due delle quali erano confitte nell’un monte e l’altre due nell’altro. E tutto intorno a lui era fuoco, e gridava si fortemente che si udiva bene quaranta miglia da lungi. E vengono in un luogo molto profondo e orribile e scoglioso e aspro, nel quale vedono una femmina nuda, laidissima e scapigliata in volto e compresa tutta da un dragone grandissimo; e quando ella volea aprire la bocca per parlare o per gridare, quel dragone le mettea il capo in bocca e mordeale crudelmente la lingua; e i capelli di quella femmina erano grandi infino a terra.

Eccovi un racconto fantastico di questo genere, dettato con quell’efficacia ed evidenza di stile e con quel natio candore di lingua, che è pregio sommo del Cavalca. Procedendo di questo passo, a poco a poco dal crudele si va all’orribile, e poi al disgustoso e poi al grottesco: laghi di zolfo, valli fiammanti e ghiacciate, botti d’acqua bollente, rettili e vermi e dragoni da’ denti di fuoco, demòni armati di lance, di fruste, di martelli infocati, e qui un cadavere putrido e inverminito, lá scheletri tremanti sotto una pioggia di ghiaccio, e dannati affissi al suolo con tanti chiodi «che non pare la carne», o sospesi per le unghie in mezzo allo zolfo, o menati e rapiti da velocissime ruote di fuoco, che hanno vista di «cerchi rosseggiane», o infissi a spiedi giganteschi, che i demòni irrugiadano di metalli fusi.