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48 la poesia cavalleresca
     Disse Morgante: — Io vedeva la fame
In aria come un nugol d’acqua pregno;
E certo una balena colle squame
Arei mangiata sanza alcun ritegno,
O vero un liofante con l’ossame;
Io rido che tu vai leccando il legno — .
Disse Margutte: — S’tu ridi, ed io piango,
Che colla fame in corpo mi rimango — .


Qui la forma è perfetta. Dopo trovano un leone, custode d’una fanciulla prigioniera di due giganti. Ucciso il leone, mentre si trattengono con la fanciulla, sopravvengono i due giganti, de’ quali l’uno porta seco un drago e l’altro un orso preso in caccia; e ne succede un parapiglia. Questa è una delle battaglie del Pulci, che destano più interesse; la forma qui rasenta quasi l’eccellenza. Nelle altre si ripete, mostra sazietà; in questo combattimento entrano elementi nuovi: da una parte, c’è letta tra Morgante e Sperante, dall’altra, Beltramo prende a bastonate Margutte, e si trovano alle prese la forza e la malizia. Tutto è rappresentato vivamente, ed il maraviglioso è intramezzato col ridicolo. Come saggio riporteremo l’ottava, dove è rappresentata la caduta di Morgante e Sperante, abbracciati insieme, in un burrone.

     E si sentiva un romore, un fracasso,
Insin che son caduti in un burrone.
Come quando de’ monti cade in basso
Qualche rovina o qualche gran cantone;
Non vi rimase né sterpo né sasso
Dove passò questo gran fastellone,
Che rimondorno insino alle vermene,
E dettono un gran picchio delle schiene.

E questo forse uno de’ più bei luoghi del Pulci, che ha meritato quindi d’esser imitato dal Boiardo e dall’Ariosto. Il primo ha imitato il combattimento fra Margutte e Beltramo; l’altro, il combattimento fra Morgante e Sperante. Ma mentre qui la lotta è seria, l’Ariosto rese ridicola quella fra Orlando e Rodomonte.