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DISCORSI PER LE FESTE ARIOSTEE A FERRARA


Quasi non è piú bisogno che altri parli, poi che il presidente del Comitato ha espresso cosí bene i suoi intendimenti, e il ministro ha indicato con precisione il carattere nazionale di questa festa. E se desiderate che dica io pure alcuna cosa, gli è, credo, non per altro merito se non del mio amore all’arte, alla quale ho consacrata ima gran parte della mia esistenza. Il Comitato ha espresso i suoi intendimenti; permettete a me che esprima le nostre impressioni. Noi troviamo qui imi te tre feste: una mostra agricola, e poi onoranze a Savonarola, il quale, se avesse avuto innanzi i libri dell’Ariosto, li avrebbe di certo bruciati; e poi onoranze a Ludovico Ariosto, il quale, se avesse avuto innanzi il Savonarola, l’avrebbe ucciso, con quel sorriso che bastò ad uccidere tutto quel bel mondo feudale di trovatori, di castellani e di cavalieri. Come dunque si è potuto unire insieme Ariosto e Savonarola e ficcarci per terza una mostra agricola? Come unire concetti che l’uno grida contro l’altro? Eppure, o signori, queste cose si unificano e diventano amiche, perché queste cose, l’attivitá industriale e agricola, il sentimento religioso e il sentimento dell’arte, sono le condizioni che si richiedono alla grandezza di un popolo. E il Comitato, unendo queste cose insieme, ha voluto fare come un augurio all’Italia, che raggiunga questa triplice grandezza. I nostri antichi aveano anch’essi le loro feste, e incoronavano imperatori e poeti, gli imperatori che erano da Dio, e i poeti anch’essi divini e che chiamavano «geni», quasi come qualcosa che fosse al di sopra