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252 commerazioni

tuo Luigi non ismentirá se stesso; morirò con la certezza che il mio sangue sará fruttuoso di bene al mio paese; morirò col sereno coraggio dei martiri; morirò, e le ultime mie parole saranno alla mia patria, alla mia Gigia, al mio Raffaello, alla mia Giulia. A te ed ai carissimi figliuoli non sará vergogna che io sia morto sulle forche. Voi un giorno ne sarete onorati. Tu sarai striturata dal dolore, lo so: ma comanda al tuo cuore, o mia Gigia, e serba la vita per i cari figli nostri, ai quali dirai che l’anima mia sará sempre con voi tutti e tre, che io vi vedo, che io vi sento, che io seguito ad amarvi come vi amava, e come vi amo in questa ora terribile.

«Io lascio ai miei figliuoli l’esempio della mia vita, ed un nome che ho cercato sempre di serbare immacolato ed onorato. Dirai ad essi che ricordino quelle parole che io dissi dallo sgabello nel giorno della mia difesa. Dirai ad essi che io, benedicendoli e baciandoli mille volte, lascio ad essi tre precetti: Riconoscere e adorare Iddio: amare il lavoro: amare sopra ogni cosa la patria. Mia Gigia adorata, eran queste le gioie che io ti prometteva nei primi giorni del nostro amore, quando amendue giovanetti, tu a quindici anni, con invidiata bellezza, e con rara innocenza, ed io a venti anni pieno il cuore di affetti e di speranze, e con la mente avida di bellezza di cui vedeva in te un esempio celeste; quando ambidue ci promettevamo una vita d’amore, quando il mondo ci pareva cosí bello e sorridente, quando disprezzavamo il bisogno, quando la vita nostra era il nostro amore? E che abbiamo fatto noi per meritare tanti dolori, e tanto presto? Ma ogni lamento sarebbe ora una bestemmia contro Dio, perché ci condurrebbe a negare la virtú per la quale io muoio. Ah Gigia, la scienza non è che dolore, la virtú vera non produce che amarezza. Ma pur son belli questi dolori e queste amarezze. I miei nemici non sentono la bellezza e la dignitá di questi dolori. Essi nello stato mio tremerebbero; io sono tranquillo perché credo in Dio e nella virtú. Io non tremo; deve tremare chi mi condanna, perché offende Dio.

«Ma sarò io dannato a morte? Io mi aspetto sempre il peggio dagli uomini. So che il governo vuole un esempio, che il mio nome è il mio delitto, che chi ora sta decidendo della mia sorte ondeggia tra mille pensieri e tra mille paure; so che io sono disposto a tutto. Sarò sepolto in una galera con un supplizio peggiore e piú crudele della morte? Mia Gigia, io sarò sempre io. Iddio mi vede nell’anima, e sa che io non per forza mia, ma per forza che mi viene da Lui, sono tranquillo. Vedi, io ti scrivo senza lagrime, con la mano ferma