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velleitá, non hanno volontá, e rassomigliano quei fanciulli, che conquistano in immaginazione regni ed imperi.

D’Azeglio con parecchi altri ebbe questo concetto, che a riuscire la rivoluzione dovea limitare sé stessa, voler una cosa alla volta, voler quello solo, ivi appuntare le forze. Negli animi c’era libertá, indipendenza, unitá. Separiamo, disse D’Azeglio, quello che negli animi è uno. L’indipendenza è la condizione di tutto il resto. Siamo indipendenti, cacciamo via lo straniero; appresso avremo libertá e unitá. E D’Azeglio pensava che a voler questo solo avremmo avuto compagni Papa e Principi; a’ quali dovea pesare non meno che a noi l’essere essi divenuti Prefetti dell’Austria. D’Azeglio dovè ricordare le parole del cardinale Bernetti, a lui ancor giovinetto in Roma: l’Austria ci obbliga, il Duca di Modena ci fa delle note, che fare! sono piú forti di noi! Riunire dunque principi e popoli nella guerra d’indipendenza era il concetto di D’Azeglio, fu il concetto che iniziò il ’48.

Il concetto fu buono a dare facile inizio al moto; non fu buono a regolarlo, né a compierlo. Non si può impunemente separare quello che nell’animo è uno. Invano si gridava: Viva l’Indipendenza! Nelle paure de’ principi e nelle speranze de’ popoli si affacciava un’altra idea: libertá e unitá. Il concetto ruppe a due scogli: alle paure de’ principi ed alle audacie de’ popoli. E il ’48 fini con una catastrofe.

Uno degli atti che piú conferí ad accelerare il moto italiano, fu uno scritto che comparve nel ’45, col titolo: Gli ultimi casi di Romagna. Sotto a quello scritto si leggeva il nome di Massimo d’Azeglio. È un atto d’accusa indirizzato all’Europa civile contro un governo debole, e nella sua debolezza feroce, che sotto nome di repressione avea preso vendetta de’ tumulti di Rimini. C’è li dentro un’aria di moderazione che cresce peso e credito all’accusa; un buon senso che guadagna gli animi non prevenuti; una cotal bonomia e schiettezza che ti dice che lo scrittore è un galantuomo e non ti può ingannare.

Questo libro fu il primo delitto di Massimo d’Azeglio. Cacciato da Roma, sbandito da Firenze, riparato in Genova, sti-