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II

IL «SAVONAROLA» DI PASQUALE VILLARI


In Napoli, nel 1848, stavo una sera nel Largo della Caritá come perduto in uno de’ tanti gruppi, dove s’andavano a sciogliere le processioni politiche, quando vidi accostarmisi un giovane pallido e malinconico, che: — Io parto, mi disse. Vado in Firenze a scrivere il mio Savonarola — .

Il di appresso Pasquale Villari partiva. Lasciava la madre diletta, sorelle amatissime, compagni ed amici che l’adoravano, lasciava la patria in un momento solenne, che parea sino le pietre dovessero gridargli: — Férmati!— . E partiva, come uno degli antichi pellegrini, solo, senza amici, senza protezione, non recando seco altra cosa che la speranza. Poteva esser fantasia di giovane, poteva esser risoluzione di uomo.

Savonarola ebbe un grande potere sopra i semplici di spirito, quelli che il Vangelo chiama «pauperes spiritu». Beati gl’ignoranti! E in questi, quando le classi colte camminano verso la corruzione, è posta l’ultima speranza d’un popolo. Ora i giovani si possono considerare come un anello tra le due classi, perché, se per la coltura s’innalzano verso le classi superiori, conservano ancora questa beata semplicitá di spirito, questa ingenua e fresca bellezza dell’anima, sono come il ritorno periodico della primavera nella storia dell’umanitá. Il loro senso morale è ancora intatto, il loro ideale è puro d’ogni mescolanza, in quelle anime gentili non è ancora entrato niun disaccordo fra la teoria e la pratica, tra il pensiero e l’azione; non conoscono ancora la