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quella tende naturalmente a propagarsi al di fuori, a farsi generale. Perché il volgo per idee, per sentimenti, per costumi rimane chiuso in se stesso; il suo pezzo di cielo è tutto il suo universo. Ma gli uomini colti de’ diversi paesi costituiscono tutti insieme una sola societá; la lettura li rende contemporanei delle generazioni passate e cittadini di tutto il mondo civile; ricevono ed esercitano una influenza politica e letteraria. Ond’è che i dialetti nascono dalle plebi e le lingue dalle classi colte: una lingua comune suppone giá una certa coltura e una vita comune nazionale.

Gl’italiani erano giá da lungo tempo in comunanza d’idee politiche, religiose e letterarie, e la Lega lombarda e le fratellanze guelfe e ghibelline dovettero stringerli ancor piú. Una lingua comune dovette dunque avere origine di buon’ora; parlata in ciascuna cittá da tutti coloro che sdegnavano il linguaggio del volgo. Trasandata da’ letterati, che scrivevano in latino, e dal popolo che parlava il dialetto, era essa materia ancora grezza, qualche cosa d’indefinito, mescolata da ciascuno col suo dialetto; nondimeno, come parlata dalle classi colte, soprastava giá agli aspri e inculti linguaggi plebei per qualitá eufoniche e per determinazioni grammaticali.

Quando la coltura trovò un centro nella Corte sveva, dove convenivano da tutte le parti i piú eletti ingegni italiani, sorse un disprezzo generale de’ dialetti, e si prese a coltivare con amore la lingua: i due fatti vanno insieme. Ciascun sa con quanta violenza Dante tonava piú tardi contro i dialetti: tanto incontrava ancora di resistenza l’uso della lingua comune.

Il disprezzo de’ dialetti trasse seco il disprezzo e l’obblio della poesia popolare; e cominciò fin d’allora quella scissione tra la plebe e le classi colte, che dura anche oggi, talché sembrano due societá accampate nello stesso luogo senza mescolarsi.

Il popolo non fa versi a vanitá e a passatempo; esso esprime i suoi bisogni e i suoi sentimenti. Estraneo ad ogni coltura, e guardando il mondo attraverso del suo campanile, la sua poesia è schietta immagine del suo stato, rozza, grossolana ne’ sentimenti e nella espressione, ma vera e naturale, piú degna del