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v. l’«orlando furioso» i6i

gonisti! L’interesse è tutto per Zerbino, anche esteticamente Mandricardo non esiste: è una torre, una macchina; alza ed abbassa la spada, non altro: ciò che è animato nel duello è Durindana, non Mandricardo. Ma dall’altra parte ci è tutto l’uomo. Zerbino supplisce alla mancanza di forze col coraggio e la destrezza. Mandricardo riman fermo come un cinghiale, assalito da cani:

Benché Zerbin piú colpi e fugga e schivi,
Non può schivare alfin ch’un non gli arrivi.

Questa ferita è tanto leggiera che il poeta vi dice: — Guardate Zerbino quanto è bello — :

     Cosi talora un bel purpureo nastro
Ho veduto partir tela d’argento
Da quella bianca man piú ch’alabastro,
Da cui partire il cor spesso mi sento.


Vi rattempera l’angoscia della tragedia. Isabella si accosta a Doralice:
E la priega e la supplica per Dio,
Che partir voglia il fiero assalto e rio.


Si separano i guerrieri. Zerbino deve morire solo con Isabella.

I cavalieri erranti sogliono morire d’una morte sconsolata di pianto. Sono interessanti solo in vita; ma muoiono come cani. Ma non così i guerrieri dell’Ariosto che appartengono all’elemento umano. Brandimarte muore con un amico vicino che piange, con una moglie lontana che piange. Cosi Zerbino muore accanto alla sua amata. Nella morte di Zerbino il cuore si affaccia per la prima volta nella poesia moderna. La poesia cavalleresca è crudele come un fanciullo che vuol ridere; l’uomo spunta quando il cuore comincia a palpitare. La Cavalleria è come i romani che gridavano: — Viva! — al gladiatore che cadeva bene.

F. de Sanctis, La poesia cavalleresca. ii