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v. l’«orlando furioso» i03

gelo, meravigliato nel trovar lì la Discordia, che credeva di dover cercare in inferno, è rappresentato nel modo più atto a provocare il riso:

Pensato avea di far la via d’Averno,
Ché si credea che tra’ dannati stesse;
E ritrovolla in questo nuovo inferno,
(Ch’il crederla?) tra santi ufficii e messe.
Con che abilità ha serbato quel contrasto per l’ultimo «tra santi uffici e messe».

Ariosto è il primo cinquecentista che abbia introdotte figure allegoriche; prima, s’introducevano figure mitologiche, che erano personificazioni rettoriche, freddamente riprodotte. Nel Voltaire i personaggi allegorici sono ridicoli e freddi, perché si conducono come esseri viventi. L’Ariosto, con giudizio e misura ammirabili, s’è limitato alla parte scultoria: a dar loro faccia, e faccia tale che sia in rapporto con le passioni che rappresentano.

Bellissima d’originalità è la forma della Discordia, co’ capelli discordi «che aver pareano lite»; quando poi dice:

Avea dietro e dinanzi, e d’ambi i lati
Notai, procuratori ed avvocati,
il riso diviene irresistibile, e cessa tutto quel non so che d’inconcreto che rimaneva. È la Discordia realizzata negli uomini.

A’ suoi tempi non erano ancor sorti i Gesuiti; ed ha saputo indovinarli e rappresentarli nella rappresentazione della Fraude, che è il ritratto dell’ipocrita. È impossibile immaginar quanta destrezza e varietà di toni v’impieghi. Sul principio, è piena di grazia e soavità:

Avea piacevol viso, abito onesto,
Un umil volger d’occhi, un andar grave...
Fin qui la figura è piacevole, il tono grazioso. Poi comincia a caricar la mano e vi mette in cospetto della caricatura:
Un parlar si benigno e si modesto,
Che parea Gabriel che dicesse: — Ave — .