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60 la giovinezza

niva da malignità o durezza di cuore, ma da incosciente, allegra natura, che mi faceva sorvolare sui mali della vita. Tutti se ne accorgevano e però molti non se lo avevano a male, e talora ridevano del mio riso e mi chiamavano poeta.

Intanto la scuola del Puoti s’era sciolta da sé; il Marchese con tutta la famiglia s’era ricoverato in Arienzo, dove aveva alcune possessioni, e s’era messo a dettare un’Arte di scrivere. Gli studenti s’erano riparati nelle case loro, dove non ancora li aveva inseguiti il morbo; anche i fratelli Amante s’erano ritirati nel loro paese. Di questa fuga generale quasi non mi accorsi, tutto pieno del mio compito in casa e fuori casa. Zio era riuscito a levarsi qualche giorno, appoggiato sul bastone; ma questo non accresceva il numero degli scolari, e poco scemava la mia fatica.

Io avevo preso dimestichezza con la casa Fernandez. Il povero Pasqualino, riparato in villa, era stato colpito dal morbo; poi, guarito appena e sparsasi la voce che andare in villa era peggio che stare in città, fece con la famiglia ritorno. La sua casa era nella strada che conduceva al monastero di S. Pasquale, e c’era un bel terrazzo ombroso, dove solevo passare qualche ora, finita la lezione. A me non piaceva quel fare dottorale di maestro; anzi mi ci seccavo e me ne vergognavo quasi, e quando qualcuno mi diceva: «Signor maestro», quella parola mi sonava male, così come essere chiamato un pedagogo o un pedante, e mi sentivo vile al mio cospetto. Questa falsa opinione mi veniva dal signor Marchese, che non si lasciava mai chiamar maestro. In quel tempo gl’insegnanti ambivano il titolo più decoroso di professore, per non lasciarsi confondere coi maestri di musica o di ballo. Quel maestro perciò garbava poco alla mia testa piena di fumi e di fantasie stravaganti, ed ero disposto a seppellire quel nome sotto l’altro di amico, al che mi sforzava anche la mia natura affettuosa. Quando Pasqualino mi diceva: — Signor maestro, — e faceva atto di volermi baciare la mano, mi sentivo nella gerarchia sociale inferiore al mio discepolo, quasi il suo protetto e il suo stipendiato, e rispondevo subito: — Chiamatemi amico.

Egli aveva due sorelle di modi e costumi semplici, che assi-