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58 la giovinezza

visita, e gli mostrai una montagna di manoscritti miei. C’erano lì dentro compendi di libri filosofici e legali, e trattateli scolastici, e quaderni di frasi e di sentenze e di pensieri e di proverbi, e i miei scritti giovanili, lettere, novelle, racconti, descrizioni, ritratti, fino la mia tragedia di sant’Alessio. Rimase stupito di quella ricchezza e di tanto lavoro; e mi chiese a imprestito tutta quella roba per potervi studiare a suo agio. Non seppi dir di no. Colui studiò, studiò e studia ancora, perché quei manoscritti non sono tornati più, e di lui non ho avuto più notizia. Così rimasi solo per davvero. Quei manoscritti erano stati i miei compagni nelle ore malinconiche. In casa non mi ci potea più vedere, e già col pensiero dimoravo in compagnia del mio caro Enrico.

XII

IL COLERA

E ci voleva pure il colera! Questo ignoto e sinistro morbo, dopo di avere spaventato mezza Europa, piombò sopra Napoli come un flagello. Le immaginazioni furono colpite; la paura rendeva irresistibile l’epidemia. Si raccontavano molti casi di colera fulminante, con le circostanze più strazianti. Si parlava di famiglie intere spente, di migliaia di morti al giorno, e coi più minuti particolari si descrivevano i casi di contagio. Non c’erano allora giornali; il governo col suo mutismo accresceva il terrore e provocava le esagerazioni. Quel tintinnio di campanelli che accompagnava le comunioni pareva la campana dei morti; i più agiati fuggivano alle loro ville; la plebe squallida e sudicia faceva spavento; nessuno osava accostarsi; l’uno fuggiva l’altro. La vita pubblica fu sospesa; le scuole, le botteghe erano deserte.

Il morbo, che dopo alcuni mesi pareva ammansito, riprese con più furore l’estate dell’anno appresso. È rimasta ancora nella memoria la giornata di San Pietro e Paolo, per il gran numero dei morti Avvenivano scene che richiamavano alla