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cose di casa 37

Giambullari, il Firenzuola, il Caro, il Castiglione, mi deliziavano. Nessuno dei miei compagni aveva tanto letto. E poi, ciascuno aveva le sue faccende; a molti quella scuola era una parentesi. Per me la mia faccenda era quella; non pensavo ad altro; stavo le intere giornate correggendo bozze di stampa, sfogliando dizionarii e grammatiche. E a poco a poco, senza ch’io me ne accorgessi o ci pensassi, mi trovai il segretario e il favorito del marchese Puoti. Quello a cui prima non poneva la mira, come a cosa troppo alta, parve allora a me e a tutti cosa naturalissima. Non ch’io surrogassi qualcun altro; nessun lasciò il suo ufficio; l’abate Meledandri stava sempre li col suo piglio beffardo e insolente. Il nome era pur quello, ma sotto al nome non c’era più la cosa. Il Marchese perdeva la pazienza, e l’interrompeva spesso. Una sera ch’egli faceva la lettura, il Marchese era di pessimo umore, e lo correggeva aspramente, ripigliando la parola letta e pronunziandola lui, accompagnando la correzione con un certo suo intercalare favorito, che moveva a riso tutti. L’abate sbuffava, e non trovava loco, e non potendo più tenersi, usci a dire: — Ma insomma, ora debbo alzare la voce, ora no, debbo abbassarla; non so come uno si debba regolare con voi — . Guardammo al Marchese, e ci pareva che stesse li li per avventarsigli e pigliarlo pel collare; ma si contenne, e gli fece un’ammonizione senza intercalare, fredda e dura. Da quel di Meledandri perdette autorità. Ritornò poi in Castellaneta, sua patria, e non seppi più notizia.

Il Marchese era tutto intento a compilare una grammatica a uso dei giovanetti, e si giovava dei miei studi e della mia erudizione. Mi presentò alla sua famiglia, e più volte mi tenne a pranzo seco. Mi avevano posto per soprannome «il grammatico». Io me ne teneva, e andava con la testa alta.

IX

COSE DI CASA

Intanto le cose di casa non andavano bene. Zio Carlo invecchiava; la famiglia s’era accresciuta; i mezzi scarseggiavano.