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36 la giovinezza

I periodetti il Marchese non poteva digerirli; e quello scrivere alla francese chiamava uno stile a singhiozzi. Non perciò andava sino al Boccaccio, ma teneva una cotal via di mezzo, che rendeva il suo periodare spedito e semplice. — Ma in che consiste questa via di mezzo? — domandavano. E il Marchese alzava le spalle e diceva: — Con lo scrivere s’impara a scrivere; e poi ci vuole un certo genio per imparare il secreto — . Quel secreto io l’aveva imparato. Scrivendo tutte le mattinate sotto la sua dettatura, mi erano rimasti impressi certi suoi modi favoriti, certi suoi giri di frasi, certe costruzioni convenzionali, e avevo imparato a girare il periodo secondo la sua maniera, sicché dicevano ch’io gli avevo rubato il secreto. Il Marchese fini che non sapeva più fare senza di me, e mi cercava con l’occhio e mi chiamava il suo collaboratore. Giovannino ed io divenimmo correttori di stampe. Io me ne tenevo, e mi stimavo infallibile, quando un di il proto della stamperia m’indicò innanzi al Marchese parecchi errori sfuggiti ai miei occhi pazienti, e m’insegnò la modestia.

Il direttore della stamperia era un tal Gabriele De Stefano, che si teneva da più del marchese Puoti, e abusando della mia docilità mi faceva scrivere seco, dettando prefazioni e lettere. Un di avevo scritto su d’una busta un indirizzo, preceduto dalle sacramentali «A.S.E.» che dovevano significare: «A Sua Eccellenza». Egli trovò che quelle lettere erano troppo sopra, e mi fece un rabbuffo e disse: — Sapete voi cosa significano queste tre lettere? significano: asino senza educazione — . Io feci col petto indietro, come avessi ricevuto un colpo di pugnale, e non ci andai più, e anche oggi quel motto me lo sento sonare nell’orecchio.

Mi strinsi sempre più col Marchese. Nelle sue annotazioni di lingua e di grammatica ai Fatti di Enea, soleva dire: - Cosa ne dice Francesco? — Io era divenuto una specie di autorità e il Marchese mi consultava nelle cose della lingua e della grammatica, come diceva. M’era venuta la frenesia degli studi grammaticali. Avevo spesso tra mano il Corticelli, il Buonmattei, il Cinonio, il Salviati, il Bartoli, il Salvini, il Sanzio, e non so quanti altri dei più ignorati. M’ero gittato anche sui cinquecentisti, sempre avendo l’occhio alla lingua. Il Gelli, il