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la rettorica 145

del mondo, inesperto delle passioncelle che muovono gli uomini, mi meravigliai che le mie opinioni fossero riferite senza quella misura giusta nella quale io mi tenevo. Non pensai di aprirmene col Marchese; la mia natura poco comunicativa, anzi restia, me lo impediva. Credulo nella sincerità degli altri, pensai che la colpa dovesse esser mia, e che forse non m’ero spiegato bene. Feci dunque un’ultima lezione, nella quale mi studiai di dare le più precise determinazioni alle mie idee. Dissi che lo studio delle cose e l’educazione delle nostre forze intellettuali e morali sono il fondamento dell’arte; ma che l’arte non si può esercitare senza istrumenti, e che le forme sono gli strumenti dell’arte. Citai con lode il Marchese, e dissi ch’egli soleva chiamare le forme, «i ferri del mestiere». Le mie lezioni non erano state che uno studio delle forme, e non dovevano menare al disprezzo di quelle. Dizionari, grammatiche, rettoriche, poetiche non erano roba da gittare al fuoco. Sole esse conducono alla pedanteria; ma lo studio delle cose, scompagnato da esse, conduce alla barbarie. Quello solo rimane nei posteri che riceve il suo suggello dalla forma. Paragonai le forme al culto, senza il quale la religione rimane un fatto interiore senza espressione. Dissi ch’era bene studiare le forme con la penna in mano, notando i modi, i pensieri, i versi che più facevano impressione. — Notate anche, — dicevo, — i vostri pensieri e le vostre osservazioni, giorno per giorno; sarà il giornale dei vostri studi, non meno prezioso che il giornale della vita. Ciascun di riandate la vostra giornata, fate il vostro esame di coscienza; scrivete i fatti, i pensieri, i sentimenti buoni e cattivi; siate confessori a voi stessi. Nessun uomo fa senza del libro dei conti; oh come dee mancare il libro della scuola e il libro della vita? Con l’uno imparerete a scrivere, con l’altro imparerete a vivere.

Stetti alcuni di’, dicendo fra me: «Qualcuno dirà di questa lezione al Marchese». E m’immaginavo già che mi venisse incontro con quella sua faccia aperta, piena di bontà. Andai a lui e lo trovai muto e freddo. Nessuno gliene aveva detto verbo. Curiosa questa natura umana!

i0 — De Sanctis, Memorie - i.