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144 la giovinezza

cata e l’ornamento. Dissi che i principii generali dell’arte dello scrivere intorno al modo di concepire, di situare e di esprimere gli oggetti, sono i medesimi anche per la poesia. La differenza è nel fine e nella facoltà motrice, la quale nella prosa è l’intelletto, e nella poesia è la fantasia. Riserbando a uno speciale trattato questo studio, e tornando alla metrica, dissi che tutti i metri sono parti e frammenti dell’endecasillabo, nel quale spesso ci è la risonanza di questo o di quello, come del quinario, del settenario, del decasillabo. La lettura dei versi prese per noi un nuovo sapore. Facevo osservazioni piccanti e minute sui loro congegno e sui vanii effetti di melodia. Distinsi il verseggiatore dal poeta. Colui era un fabbro più. o meno perito, non un artista. Venni alle rime e poi alle strofe, e feci una breve storia del sonetto, della canzone, della terzina, dell’ottava e del verso sciolto, secondo i tempi e secondo gli autori. Parlai della poesia solenne e della poesia popolare. Mostrai che il cammino delle forme poetiche è determinato dalla civiltà, e si va sempre verso la maggiore libertà di congegno e verso la maggiore popolarità. A quel modo che la lingua, arricchendosi, va sempre più rompendo i suoi nativi confini, e si va sempre più accostando alle forme popolari del dialetto; a quello stesso modo la poesia produce con più libertà nelle sue forme, e si rinfresca e si rinsangua nell’immaginazione popolare. Cercai gli esempi nella nostra storia, e spiegai così la preponderanza negli ultimi poeti, del verso sciolto, e la libertà nel gioco delle rime e delle strofe.

Di queste lezioni qualche notizia giungeva ai Marchese, travisata ed esagerata, come suole avvenire. Gli si diceva ch’io insegnava la noncuranza, anzi il dispregio della regola e delle forme. Egli non mi fece motto, ma vedevo sul suo volto una certa freddezza. Quello che non diceva lui, dicevano i suoi discepoli, dei quali alcuni mi gridavano la croce addosso, motteggiando me e la scuola. Alcuni miei discepoli, esagerando la dottrina del maestro, e pigliando per Vangelo qualche parola uscitami nel calore della lezione, andavano gridando che delle grammatiche e delle rettoriche bisognava fare un bel falò. Questi vari rumori mi giunsero all’orecchio, e ne fui sdegnato. Nuovo