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lo stile 127

un gran gusto alle lezioni. Talora disputava di rettorica; ma io presi tale ascendente, che non fiatò più e stava cheto e attentissimo. Il Marchese l’ebbe in grande onore, e tutti gli volevano bene. Una sera che la lezione era finita, e molti mi stavano attorno, mi fu presentato un giovane basso e pallido, con due occhi vivacissimi. Mi dissero che si chiamava Angelo Camillo De Meis. Quel nome non m’era nuovo. Sapevo già in confuso dei suoi studi e del suo ingegno. Gli dissi il suo posto essere alla scuola del marchese Puoti. Rispose: — No, no, voglio restare con voi — . Aveva un’aria di modestia e di semplicità, e quasi un abbandono nei modi e nel vestire.

Feci un corso sullo stile. Intorno a queste parola trovavo una grande confusione. Alcuni intendevano significare con essa l’elocuzione; altri la rettorica; alcuni vi mescolavano il genio ed il gusto; e chi il bello ed il sublime. C’erano poi infinite maniere di stili, come il tenue, il magnifico, il forte, l’eloquente, il poetico, il prosaico, ecc. Queste confusioni e queste divisioni avevano la loro spiegazione nell’abitudine dello spirito a considerare tutta questa materia letteraria nella sua esteriorità, secondo le singole apparenze di ciascuna forma. Tante erano le divisioni quanti erano gli aspetti delle cose, considerate nella loro superficie, e vuol dire ch’erano moltissime. Io avevo preso un’abitudine affatto contraria, ché non vedevo le forme, ma le cose da quelle significate, e dalle cose tiravo la definizione e la divisione delle forme. Cosi avevo fatto per la grammatica e per la lingua, così feci per lo stile. Secondo che andavo più innanzi, più ci vedevo chiaro, e più stavo saldo in questa idea. Solevo dire che bisognava capovolgere la base.

Correva allora per le mani il Blair; certo, un progresso dirimpetto al Falconieri e al De Colonia. Io mi divertivo a sue spese. Diceva il Blair: «Le regole conducono al ben dire»; io dicevo: «No, è il ben pensare che conduce al ben dire, e le regole del ben dire prendono norma e qualità dal ben pensare». Combattevo la celebre definizione di Buffon: «Lo stile è l’uomo». Io diceva: «Lo stile è la cosa», e intendevo per cosa quello che più tardi ho chiamato l’argomento o il conte-