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cose di lingua 111


Il di appresso fui dal Marchese, com’ero solito, e vi trovai Gatti, Cusani e parecchi altri. La scuola del Marchese non era quasi più altro che una conversazione rumorosa ed allegra, nella quale si ciarlava di tutto, a cominciare dalle novelle del giorno. Il Marchese serbava tutta la sua vivacità sollazzevole; ma nel vedermi fece il muso arcigno. «Tempesta ci cova» pensai io, e salutai. Là ero discepolo tra discepoli, e dei più umili. Il Marchese, nelle sue maggiori collere, non osava mai investirmi e apostrofarmi: il mio contegno taciturno e freddo, la mia aria innocente lo trattenevano. Anche allora sfogò la sua ira per indiretto. Parlò delle monellerie di Pier Angelo Fiorentino e delle velleità di Vaccaro Matonti, «discepoli ingrati come qualche altro», disse, e guardò a me. Io sentii la punta e mi scolorai. E il Gatti mi toccò il gomito ridendo, e disse: — Già, ti è venuto il ticchio di fare il filosofo. — Assai meglio di te, — risposi io, che, non potendomi sfogare col Marchese, me la presi con lui. Ed egli mi venne su col pugno stretto, adirato non delle parole, ma del tono stizzoso. Si pose di mezzo il bravo Cusani con buone parole, e ci rappaciò. Il Gatti stimava sé gran filosofo, e gli sapea male che altri gli volesse fare concorrenza. Cusani dato agli stessi studi aveva maggiore ingegno, ed era mitissima natura d’uomo. Ed ecco venirmi incontro il Marchese e prendermi per mano familiarmente e dirmi: — Sai, mi aveano male informato. Dicono che tu hai fatto le lodi dei puristi — . Io rimasi confuso. Pensavo che qualche cicalone gli aveva dovuto travisare la mia lezione, e qualche benevolo gliel’aveva mostrata da un altro lato. Vedendomi sospeso, disse: — Eh! giovinetto, vuoi forse ch’io ti chieda perdono? — Mi scappò una lacrima e lo guardai commosso. Poi con la mia schiettezza, gli dissi: — Io ho lodato i puristi veri, come voi; ma ho dato addosso agli ultra-puristi, come sono certuni che vi riferiscono male le mie lezioni — . E guardai intorno; ma nessuno mosse collo. Il Marchese si pose tra noi come un generale che si pone al centro del quadrato, e disse: — Figliuoli, il purismo è uno: non c’è vero e falso purismo. Chi fa questo distinguo, non ci crede più — . Poi fece una lezione a braccia. — Non si tratta, —