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xi. 1819 - gl’idillii | 87 |
immaginarlo. Vedi solo la sua ombra. Così i primi solitarii scopersero l’Iddio!
Queste ombre e questi sentimenti sono immediati e inconsapevoli. Non nascono da un pensiero attivo che li produca con la sua impronta; anzi sembra che naturalmente piovano nello spirito. Nessun vestigio di elaborazione, niente di successivo e di sovrapposto a quelle ombre nella loro formidabile nudità; portano seco il loro colore e la loro musica. Appunto perché il pensiero rimane inattivo, mentre il cuore si spaura, l’effetto è grandissimo. E questo spiega l’impressione profonda della chiusa così originale, in cui il pensiero riacquista la coscienza solo per sentirsi dolcemente annegato:
. . . . . . . tra questa Immensità s’annega il pensier mio: E il naufragar m’è dolce in questo mare. |
L’annegamento del pensiero nello infinito non è un concetto nuovo. E questa impotenza del pensiero innanzi all’inconoscibile desta sempre un sentimento di terrore, o, come dicesi, la impressione del sublime, prodotta qui non solo dalle cose, ma dal ritmo delle cose. «Interminati spazi», «sovrumani silenzi», «profondissima quiete». Ciò ch’è nuovo in questo naufragio del pensiero è il sentimento di dolcezza. Il contemplante solitario si sente sperduto in quella immensità, e ci si piace. Il piacere nasce non dalle cose che contempla, ma dal contemplare, da quello stare in fantasia e obbliarsi e perdersi senza volontà e senza coscienza. È la voluttà del Bramino, poeta anche lui, dello sparire individuale nella vita universale.
Questa contemplazione è la prima grande rivelazione del suo genio, semplice insieme e profondo. È un ritorno alla rappresentazione delle poesie primitive e popolari, dove disegno colore e ritmo è una parola, e vista e impressione è sempre immediata. Certo, l’arte dei nessi, il vigor logico e la correzione della forma lo certificano poeta di un’età avanzata. Ma chi consideri a quanta raffinatezza era giunta la poesia italiana anche nei sommi, e anche a quel tempo che molti gridavano semplicità