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74 | giacomo leopardi |
nicchiato in sé stesso, e bastante a sé stesso, come colui che già sente la sua superiorità intellettuale e morale, udite come parla in una lettera al Giordani del 16 gennaio 1818:
Eh via che né la nostra virtù, né la dilicatezza del cuor nostro, né la sublimità della mente nostra, né la nostra grandezza non dipendono da queste miserie: né io sarò meno virtuoso né meno magnanimo (dove ora sia tale) perché un asino di libraio non mi voglia stampare un libro, o una schiuma di giornalista parlarne. Oramai comincio, o mio caro, anch’io a disprezzare la gloria, comincio a intendere insieme con voi che cosa sia contentarsi di sé medesimo, e mettersi colla mente piú in su della fama e della gloria e degli uomini e di tutto il mondo. Ha sentito qualche cosa questo mio cuore, per la quale mi par pure ch’egli sia nobile, e mi parete pure una vil cosa voi altri uomini, ai quali se per aver gloria bisogna che m’abbassi a domandarla, non la voglio; ché posso ben io farmi glorioso presso me stesso, avendo ogni cosa in me, e piú assai che voi non mi potete in nessunissimo modo dare.
Certo, questo è un tono troppo alto di quel «disprezzo de’ disprezzi», e s’intravvede in questa misura oltrepassata un vivo risentimento contro librai e giornalisti, e un desiderio grande di quella gloria, che così alteramente si gitta sotto ai piedi.
L’uomo è meno alto che non vuol far credere; è in lui la stessa pasta di quelli ch’egli chiama uomini, come fosse lui qualcos’altro; ma questo appunto ce lo rende interessante, perché in quella natura eroica entrano pure i più e i meno, e infinite gradazioni della pasta umana che lo avvicinano a noi.
Questa coscienza chiara e viva della sua infelicità, questo sentirsi segregato dalla natura e dagli uomini, e nel suo isolamento morale mettercisi al disopra e dire: — Io! sì, io! — , anche disprezzato e abbandonato dagli amici e ripudiato dall’amore, questo è il tratto fondamentale del suo carattere. E sarebbe punto simpatico per la soverchia rigidità e uniformità, se non vi si mescolassero debolezze e contraddizioni, che lo rivelano in quei suoi venti anni non solo uomo, come tutti gli altri, ma giovanissimo, ancoraché egli lamenti la perduta giovanezza. Ammiriamo l’Iddio, amiamo l’uomo.