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LE DUE CANZONI

Lugubre è l’apertura del suo ventesimo anno. Indebolita ancor piú la vista e mancati gli studi, acquista una coscienza più chiara del suo male, e ne parla al Giordani con la tranquillità della disperazione.

Della salute sic habeto. Io per lughissimo tempo ho creduto fermamente di dover morire alla più lunga fra due o tre anni. Ma da quel giorno ch’io misi piede nel mio ventesimo anno, ho potuto accorgermi, e persuadermi, non lusingandomi, o caro, né ingannandomi, ché il lusingarmi e l’ingannarmi pur troppo è impossibile, che in me veramente non è cagione necessaria di morir presto, e purché m’abbia infinita cura, potrò vivere, bensì strascinando la vita coi denti, e servendomi di me stesso appena per la metà di quello che facciano gli altri uomini, e sempre in pericolo che ogni piccolo accidente e ogni minimo sproposito mi pregiudichi, o mi uccida; perché insomma io mi sono rovinato con sette anni di studio matto e disperatissimo in quel tempo che mi s’andava formando e mi si doveva assodare la complessione. E mi sono rovinato infelicemente e senza rimedio per tutta la vita, e rendutomi l’aspetto miserabile e dispregevolissima tutta quella gran parte dell’uomo, ch’è la sola a cui guardano i più: e co’ più bisogna conversare in questo mondo; e non solamente i più, ma chicchessia è costretto a desiderare che la virtù non sia senza qualche ornamento esteriore,