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50 | giacomo leopardi |
Gli angioli, i demoni, le celesti deità, tutti gli esseri spirituali, dei quali l’immaginazione umana ha popolato l’universo, sono le realità di questo presentimento, tentativi per foggiare o pensare quell’ideale esistenza superiore, che ci è sempre vicina, e ci è sempre lontana. Religione, poesia, filosofia, hanno a base questo invitto presentimento che resiste a tutti gli sforzi del puro umanismo, e cacciato ripullula sempre.
E, in verità, se crediamo che l’uomo sia l’ultima forma della creazione, e che gl’infiniti mondi sieno non altro che lampioncini affissi là per fargli luce, si potrebbe tenere quel presentimento come superstizione di femminuccia. Ma se questo non è possibile crederlo, quel presentimento insito nella nostra natura di uomini non è che l’addentellato a una forma ulteriore, e contiene in sé quest’affermazione, che noi non siamo ultimo, ma intermedio anello nella catena degli esseri.
Appunto perché semplice presentimento, la concezione non può essere attinta nella sua realtà malgrado ogni sforzo d’immaginazione; e se possiamo trovare differenze quantitative, non ci è dato trovare differenze di qualità tra noi e il nostro di là, altro che vaghe e a base umana. La concezione rimane solo, adunque, ideale, una nostra idea, il cui riflesso luce sulla faccia degli esseri da noi foggiati.
L’ideale fa la sua apparizione nella gioventù in modo puro, ingenuo e gioioso, perché vediamo allora in quello lo stesso reale, di cui non abbiamo esperienza, e la terra e la vita è tutta un riso.
Questo è il tempo fuggitivo a cui accenna Leopardi in alcuni versi, troppo breve, e in lui brevissimo, in lui che a sedici anni faceva studi senili.