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42 | giacomo leopardi |
Vi si nota pure un gusto letterario già formato e sicuro. Non dice più opinioni altrui, afferma le sue, e con autorità, come di chi sente già il suo peso. Ha già non solo libertà, ma temerità di giudizio, osando censurare il Virgilio del Caro, tenuto inviolabile da’ puristi, quasi una divinità. E la sua censura è nuova, ed è giusta, notando acutamente che il Caro ha travestito quel Virgilio in toga, in un Virgilio borghese. Poi ci pensa su, stupisce dell’audacia, prevede lo scandalo e, finito l’Esiodo, ritorna al Caro per chieder perdono del suo ardire; e non gli valse, e fu un gran baccano tra’ puristi di Milano, e Giordani stesso dové scendere nell’arena per meglio spiegare e attenuare l’ardita sentenza.
Ma sentire Virgilio non è ricreare Virgilio. E se il giovane ebbe ragione contro il Caro, ebbe torto a voler mostrar lui come s’aveva a fare. Non aveva ancora potenza uguale al gusto. E gli uscì un Virgilio né togato né borghese, un Virgilio letterale.
Prendiamo i primi versi, quel magnifico preludio all’incendio di Troia:
Conticuere omnes, intentique ora tenebant. |
Già ti senti alzato di terra tre cubiti in questa magnificenza di verso; ti è innanzi in modo subitaneo uno di quegli alti silenzi, segno delle grandi aspettazioni, illuminato da una forma plastica, «le facce tese». Ed è un verso finito in sé, con un certo riposo, prima che Enea sorga a parlare. Un fatto materiale, detto pure con una certa nobiltà di tono, che non fa dissonanza col tono elevato del primo verso, che voi risentite subito appresso: