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v. 1816 - risveglio letterario 39

e proprietà del dire, «spargendo i suoi scritti della luce, non della polvere che si trovava nelle vecchie opere», e gli uscì uno stile che a torto chiamarono secco, non mancando gli ornamenti che sono nelle cose, innestati nel soggetto, e che non risaltano certamente, come quelli di Seneca e di Plinio. «Questi lampeggiano e Frontone risplende; essi saziano e Frontone contenta; essi piacciono più al primo che al secondo istante, e Frontone più al secondo che al primo». Qualità del suo stile è la sodezza e la forza che non esclude la semplicità e la leggiadria, ma serbando sempre la solidità e il vigore, che formano il carattere delle sue opere. Modello degli scrittori epistolari, come storico, sta al fianco di Sallustio, e come oratore, non cede che a Tullio. Questo giudizio simile a un inno, o per dir meglio a un panegirico, ti mostra già il letterato di diciotto anni, fiorito, superficiale, di poca misura e di molta presunzione, ingegnoso più che preciso, che guarda alla scorza e non giunge al midollo. Epiteti a due a due, studio di antitesi, generalità vaghe, ripetizioni e amplificazioni, un po’ di confusione, come là dove descrive lo stile di Frontone «maschio e robusto», che dopo qualche periodo diviene «semplice e leggiadro», mostrano immaturità e abbondanza giovanile, poca serietà. Se avesse guardato più addentro, avrebbe visto che le buone qualità da lui attribuite a Frontone, posto pure che sieno vere, riguardano l’esteriorità dello scrivere, e bastano appena a fare di lui un grammatico, un pedagogo, un retore, ciò ch’egli era effettivamente. A essere oratore o storico si richiede un’altezza d’intelletto, una squisitezza di sentire, una pienezza di vita interiore, che manca affatto a Frontone. Nelle sue lettere non c’è spontaneità, non sincerità, non dignità; c’è la boria del pedagogo che monta in cattedra, dicendo cose comunissime, come se le avesse scoperte lui. Spesso è raffinato, e a un motto amichevole risponde con una dissertazione, come all’imperatore che gli esprime il suo affetto risponde con un discorso manierato e sottile sulla natura dell’affetto. Nessuno meglio di lui è segno della decadenza romana, politica, morale e letteraria. Brav’omo, e assai colto, in lui, come nel suo secolo, era spenta quella vita fresca e giovanile che generava Ennio,